LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE NON DIPENDE DAL PASSAPORTO

LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE NON DIPENDE DAL PASSAPORTO.

LA FANNO GLI UOMINI!

Da diverse settimane il tema della violenza contro le donne è tornato al centro del dibattito pubblico e ricomincia a essere uno dei punti più trattati da media, giornali, talk show.

I dibattiti si susseguono, voci diverse si esprimono, ma in tutti i casi permane una irriducibile stortura, una falsificazione delle cause di questo fenomeno.

 L’informazione e il governo continuano a parlare di violenza come di un problema etnico o razziale, alimentando un diffuso sentimento di disprezzo e odio razzista nei confronti degli immigrati che abitano questo paese, (che sempre più frequentemente sfocia in casi di violenza vera e propria). Invece noi sappiamo che la violenza contro le donne è un problema culturale e sociale, che ci parla delle dinamiche esistenti nei rapporti tra i generi, segnate da atteggiamenti di possesso e dominio dell’uomo sulla donna.

L’attenzione dei media è spostata interamente sui casi di violenza agiti da stranieri mentre si oscurano sistematicamente tutte le altre violenze, fatte da italiani, comprese quelle su transessuali, gay e lesbiche che non vengono mai alla luce.

Ma facciamo chiarezza.

CHI FA LA VIOLENZA?

Il 69,7% delle violenze è per opera del partner.

Il 17,4% per opera di un conoscente

Il 6,2% è stato opera di estranei.

CHE TIPO DI VIOLENZA?

La violenza sulle donne è un fenomeno che esiste da secoli e che si manifesta nella nostra società con forme molteplici e spesso celate: la violenza sulle donne agisce a livello fisico,con percosse, calci, pugni, schiaffi, abuso sessuale; 3 milioni di donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking), 7 milioni di donne hanno subito violenza psicologica, come l’isolamento, il controllo, la svalorizzazione e la violenza economica.

Infatti la mancata possibilità di indipendenza economica delle donne, che continuano ad avere contratti lavorativi più precari e salari più bassi degli uomini, continua ad essere la forma di ricatto migliore: nega o riduce la possibilità di denuncia delle violenze (il 96% delle violenze non è denunciato), impedendo l’ uscita dal nucleo familiare.

I responsabili di queste ripetute violenze sono gli uomini.

E’ la cultura sessista che definisce la donna come oggetto sessuale, è la società patriarcale che relega la donna al doppio lavoro dentro e fuori casa, è lo stato sociale che vuole eguagliare l’età pensionabile di donne e uomini senza però dare eguali salari, è l’ingerenza vaticana che decide come e quando una donna deve vivere e riprodursi, è l’esplosione della destra che risponde a questo problema con il pacchetto sicurezza.

Non possiamo chiamare gli italiani che agiscono violenza dei “furbacchioni” o “stanno solo giocando” o “era solo un pugno, ma mi ama” “è manesco di famiglia”.

NO. Non possiamo “salvare” o far finta che non esistano le violenze fatte dai partner, molti dei quali super cittadini tricolore.

Non possiamo farci confondere dai media che annoverano tra le violenze contro le donne solo quelle che avvengano per strada ad opera di stranieri relegando alla cronaca nera gli episodi che si consumano tra le mura domestiche anche quando sfociano nell’omicidio.

Molti sono stati i momenti di conflitto da parte delle donne per conquistare diritti e autodeterminazione. Ci pare evidente che ciò che è stato fatto in questi anni non basta e un diritto conquistato non è per sempre: gli attacchi al divorzio e all’aborto ne sono l’esempio.

 Dobbiamo reagire, subito. Non c’è una soluzione immediata alle violenze, ma ci sono delle richieste, delle battaglie che possiamo portare avanti insieme, come il salario per l’indipendenza economica perchè troppo spesso le donne che subiscono violenza in famiglia sono costrette a rimanere in casa dipendenti da un marito.

Chiediamo che in ogni luogo ci siano centri antiviolenza che possano realmente rispondere alle esigenze di tutte: supporto economico e abitativo, sostegno psicologico e medico. Combattere la violenza sulle donne non significa posizionare 500 soldatini nelle città, ma significa impegnare quei soldi per assistenza, per un servizio sanitario nazionale che funzioni, affinchè i consultori diventino realmente luoghi di prevenzione, educazione e tutela della salute della donna.

Combattere la violenza sulle donne significa prendere parola: governi e giunte non possono continuare a decidere per noi. E non possono permettersi di usare la violenza contro le donne come alibi del loro razzismo.

Ci vuole una risposta collettiva di donne, una risposta di sinistra.

Non vogliamo pacchetti sicurezza che legalizzano ronde, la violenza sulle donne è un problema sociale e culturale e non ha passaporto! Basta con ronde spontanee trasformate in ronde legalizzate, rosa o azzurre che siano, questi sono atti di violenza di stampo razzista e fascista.

E adesso pensa che ogni volta che vedi un caso di violenza su una donna fatta da un immigrato nello stesso minuto avvengono almeno altri 3 stupri da parte di italiani, da parte dei mariti, compagni, amici o conoscenti.

Ma queste violenze non fanno audience, non aprono il caso.

Queste violenze rimangono dentro le 4 mura e non hanno possibilità di uscire.

 

Combattere la violenza sulle donne significa non accettare comportamenti razzisti, xenofobi e sessisti, significa denunciare, informare, lottare!

 

 

febbraio\2009 

Collettivo di femministe e lesbiche “La mela di Eva”

Ci incontriamo tutti i martedì alle ore21 invia circonvallazione casilina 74,

presso la “libreria alegre”

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Sicuropoli

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I desideri non crollano mai, rendiamoli più sicuri!

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Abitare il mondo, sentirsi a casa

Coordinamento donne contro il razzismo

ABITARE IL MONDO, SENTIRSI A CASA

Non si è sentita a casa Nabruka Mimuni, suicida nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria Non era la sua casa il mare che si è portato via la giovane nigeriana Esat Ekos e il suo bambino annegati nel canale di Sicilia Non si è sentita a casa Dorina Kristinel il suo bambino bruciati nella tendopoli di Castel Fusano a Ostia A quali vessazioni sono sottoposte le donne che in queste ore vengono respinte dalle nostre coste e spedite in lager libici nei quali le organizzazioni umanitarie internazionali non possono entrare ?

Noi non vogliamo essere complici di questa politica assassina Noi siamo solidali con le donne che fanno lo sciopero della fame a Ponte Galeria Le politiche razziste contro l’immigrazione dell’attuale governo alimentano e si combinano con nuove forme di razzismo popolare – troppi ormai gli episodi di disumanità e violenza -, fondate su stereotipi e pregiudizi contro “lo straniero e il diverso”. Il risultato è una democrazia dimezzata , perché ogni forma di discriminazione è il contrario della democrazia; vogliono imporci una cittadinanza e quindi anche una società chiusa e esclusiva, in cui tutte, native e migranti, stentiamo a riconoscerci. Al contrario in questi anni abbiamo lavorato in tante, per aprire il nostro paese al mondo e alle tante diversità. Il nostro stare insieme, ciascuna con la propria soggettività, rielaborando insieme il nostro essere nate in Italia o altrove, le nostre esperienze migratorie o le nostre differenze, è già un condividere, un’alternativa dal basso e dall’alto, allo svilupparsi di un nuovo razzismo.

SAREMO ANCHE NOI IN PIAZZA MERCOLEDI’ 13 A MONTECITORIO ORE 14.00 DOMENICA 17 MAGGIO AL PIGNETO ORE 16.00 IL 23 MAGGIO A MILANO

Roma, 11 maggio 2009

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DONNE SULL’ORLO DI UNA CRISI

 

Analisi da parte del collettivo “La mela di eva” della crisi, del debito e delle ricadute sulle donne, proposta di un audit pubblico.

Ovvero, come sopravvivere ad uno stato di austerity.

Per scaricare o leggere il volantone clikka qui Donne sull’orlo di una crisi…

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L’8TTO MARZO

 

Negli ultimi mesi un’energia nuova e dirompente è emersa dalle mobilitazioni delle università e dei precari, dalla resistenza degli operai e dei migranti, fino a giungere alle ribellioni dell’Egitto e delle coste del Mediterraneo.
E’ un grido di rivolta che denuncia un sistema sociale ingiusto e si rifiuta di pagarne i costi.

Il 13 febbraio scorso noi donne ci siamo opposte alle politiche che soffocano le nostre vite e che hanno portato al progressivo restringimento dei nostri diritti e dei nostri spazi di libertà. Abbiamo attraversato piazza del Popolo, invaso le strade di Roma e ci siamo spinte fino a Montecitorio per “restituire al mittente” le leggi contro le donne approvate negli ultimi anni dai governi sia di centrodestra che di centrosinistra: le dimissioni in bianco, il collegato lavoro, la legge 40 sulla procreazione assistita, l’innalzamento dell’età pensionabile, il pacchetto sicurezza e tante altre.

Anche l’8 marzo vogliamo riportare in piazza la stessa voce e, con lo stesso linguaggio impetuoso, rimettere al centro la questione della redistribuzione delle ricchezze: tra chi fa i profitti e chi sta pagando questa crisi, tra chi possiede palazzi e chi non ha casa, tra chi si giova di stipendi milionari e chi non ha un lavoro.
Vogliamo contestare chi mette in discussione la nostra autodeterminazione saturando le strutture pubbliche di obiettori di coscienza, limitando la diffusione della pillola RU486 o sostenendo la privatizzazione delle strutture sanitarie come i consultori (vedi la proposta di legge Tarzia per la regione Lazio), luoghi che noi invece vorremmo reinventare partendo dai nostri attuali bisogni.

Vogliamo ribellarci a una cultura e a un immaginario usati per controllare e disciplinare i nostri corpi e la nostra sessualità. Dal lavoro alla sanità, infatti, l’unico ruolo legittimato per le donne è quello di moglie e madre. Eppure spesso nel momento dell’assunzione ci vengono fatti firmare fogli di “dimissioni in bianco” che il datore di lavoro potrà tirar fuori nel momento in cui dovessimo dichiarare di essere incinte.

Viviamo nel Paese della doppia morale, dove l’unico modello accettato e promosso è la famiglia eterosessuale, quella stessa famiglia in cui, come le statistiche ufficiali ci raccontano, avvengono la maggior parte delle violenze sulle donne attuate da mariti, compagni e padri. E’ anche per questo che rifiutiamo la precarietà: perché ci obbliga a dipendere economicamente e culturalmente da un modello relazionale che ci impedisce di poter scegliere dove, come, quando e con chi essere o NON essere madri.

Eppure la stessa retorica familista che dichiara di promuovere e sostenere la genitorialità, di fatto ne ostacola la possibilità a lesbiche, single, gay, trans e a tutti quei soggetti che sfuggono alla norma eterosessuale e cattolica. Ed è sempre la stessa logica che da un lato stigmatizza e criminalizza le sex workers attraverso pacchetto sicurezza e campagne moraliste e sul “decoro”, e dall’altro ne fa un uso “spettacolarizzato” e strumentale al piacere maschile diffuso all’interno dei Palazzi del potere, ma non solo.

L’8 marzo scenderemo in piazza anche per smascherare le politiche razziste di questo governo che sfrutta il lavoro di cura svolto per la maggior parte da donne migranti e contemporaneamente le trasforma in “pericolose” protagoniste dell’“emergenza immigrati” oppure le priva della libertà e le rende vittime di violenze nei CIE.
Per tutte queste ragioni saremo in piazza l’8 marzo, per rivendicare diritti e libertà, perchè i nostri desideri non hanno né famiglia né nazione, noi non siamo “italiane per-bene”: siamo precarie, studentesse, lesbiche, trans, siamo donne che rifiutano il modello di welfare familistico, nazionalista, cattolico ed eterosessista.
Vogliamo riappropriarci delle nostre voci e dei nostri corpi e anche delle strade, della notte e delle nostre relazioni: rivendichiamo diritti, welfare e autodeterminazione.

Siamo tutte DONNE in CARNEvale e OSSA!!
L’otto… m’arzo e m’arrivolto!

CORTEO NOTTURNO – MARTEDì 8 MARZO 2011
Partenza ORE 18 – Piazza santa Maria in trastevere – Roma

Centro Donna Lisa, Donnedasud, Infosex-Esc, le Facinorosse, le Malefiche, la Meladieva,
le Ribellule, Lucha y Siesta Action-A, SuiGeneris

www.riprendiamociconsultori.noblogs.org/

Per info : lottotuttolanno@gmail.com

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indecorose e libere!

In questa fase di profonda crisi, politica ed economica, il tema della sessualità assume una nuova centralità; in questo contesto il ruolo delle donne viene nuovamente determinato e strumentalizzato da dinamiche di potere e ordini discorsivi ideologici e tradizionalisti.

Sicuramente da tempo c’è bisogno di una mobilitazione di donne contro il governo e il suo premier e non di certo solo per gli scandali sessuali. Le donne italiane si collocano tra gli ultimi posti in Europa per libertà e condizioni di vita, soprattutto in un quadro in cui il governo combina l’adesione incondizionata all’integralismo cattolico con quella ai dogmi del liberalismo sfrenato.

La direzione politica di Berlusconi è stata artefice feroci leggi che agiscono sul corpo delle donne, vittimizzandolo e stigmatizzandolo: la 40 sulla fecondazione assistita, l’abrogazione della legge contro la pratica delle dimissioni in bianco, che consente il licenziamento delle lavoratrici in gravidanza, l’aumento dell’età pensionabile sono solo alcuni esempi eclatanti delle politiche messe in campo dal Governo.

A questi si aggiungono i ripetuti attacchi alla legge sull’aborto; la dequalificazione e privatizzazione delle strutture sanitarie come, ad esempio, i consultori (vedi la proposta di legge Tarzia per la regione Lazio), l’ostracismo contro la diffusione della pillola RU486. Tutto questo in un paese che disinveste completamente sui giovani e sul futuro, tagliando i finanziamenti all’università e precarizzando selvaggiamente il lavoro. Donne e migranti sono i soggetti che subiscono le maggiori conseguenze di questo sistema politico, vedendo negate le garanzie fondamentali ad un’esistenza libera e dignitosa. Non da ultimo, l’istituzione dei CIE, veri e propri Lager, in cui le donne sono costantemente esposte alla violenza e all’arbitrio.

Gli scandali degli ultimi mesi che hanno avuto al centro la condotta sessuale del presidente del Consiglio fanno emergere un quadro di relazioni torbide e corrotte, in cui il ruolo della donna viene relegato ai peggiori sterotipi espressione di un sessismo arcaico e volgare.

D’altra parte, gli appelli che in questi ultimi giorni hanno chiamato a manifestare si rivolgono alle donne “per bene”, madri, mogli e lavoratrici, assumendo di fatto come prospettiva la separazione tra donne rispettabili e non rispettabili, invocando la difesa di una moralità univoca e astratta. Il rischio in cui incorrono queste posizioni è di colpire e stigmatizzare indiscriminatamente chi “vende il proprio corpo”, ma non i discorsi e le pratiche sessiste responsabili della dinamica complessiva. Invece di opporsi realmente ad una certa idea retrograda e tradizionale della sessualità, non fanno che riproporne, in modo simmetrico, i contenuti.

Crediamo invece che i nodi politici da rimettere al centro siano di tutt’altra natura. Centrale è la questione della redistribuzione delle ricchezze tra chi fa i profitti e chi sta pagando questa crisi, tra chi possiede palazzi e chi non ha casa, tra chi si giova di stipendi milionari e chi non ha un lavoro.

Ma crediamo soprattutto che sia giunto il momento che le donne prendano in prima persona parola ed esprimano la propria posizione su temi che le coinvolgono direttamente. Da tempo la sessualità delle donne viene controllata e disciplinata, ricondotta alla mera riproduzione e all’uso del piacere maschile, in un quadro ambiguo in cui se da un lato le prostitute vengono criminalizzate ed emarginate dalla società attraverso i pacchetti sicurezza e le campagne moraliste, dall’altro, nei palazzi politici, se ne fa uso e consumo.

E’ significativo che il momento di maggiore difficoltà del governo Berlusconi sia prodotto da una questione di rapporti sociali che hanno al centro la questione di genere. Questa volta sarebbe davvero una straordinaria occasione per suscitare una rivolta delle donne, che affermi l’importanza di una sessualità libera e consapevole svincolata dalla mercificazione e dalle norme imposte, in cui decisivi siano il riconoscimento dei desideri, la liberazione dagli stereotipi, e l’esercizio dell’autodeterminazione.

E’ con questo sentimento che attraverseremo la giornata del 13, perché pensiamo che sia imprescindibile una presa di parola pubblica e determinata da parte di tutte, per costruire un nuovo immaginario che affermi di nuovo la vera libertà delle donne.

Ci vogliono addomesticate… NOI SAREMO INDISPONIBILI E RIBELLI!

centrodonnal.i.s.a., donnedasud, infosex-esc, lefacinorosse, lemalefiche, lameladieva, leribellule, luchaysiesta

per adesioni: 13febbraioindecoroseelibere@gmail.com

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Visioni di genere

Visioni
di genere

Rassegna
cinematografica a cura del collettivo di femministe e lesbiche “La
Mela di Eva”.

I
film proposti riguardano un percorso di riflessione da condividere su
violenza, maternità,

immigrazione, sessualità, aborto, lavoro,
omosessualità.

A
partire dalle ore 20.30 aperitivo, proiezione, dibattito.


Le
proiezioni si svolgeranno presso la libreria “Alegre”
circonvallazione casilina 74. Entrata libera.

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9
Marzo:: “Ti do i miei occhi” I. Bollain, Spagna 2003

30
Marzo:: “Francesca” B. Panescu, Romania 2009

20
Aprile:: “Lo spazio bianco” F. Comencini, Italia 2009

11
Maggio:: “4 mesi 3 settimane 2 giorni” C. Mungiu, Romania 2007

1
Giugno:: “improvvisamente l’inverno scorso” G. Hofer, L. Ragazzi

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Le
mele si riuniscono tutti i martedì alle ore 21.

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